Forse pochi lo sanno, ma il 6 febbraio si celebra ogni anno la Giornata internazionale contro l’infibulazione e le mutilazioni genitali femminili che insieme all’8 marzo, la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, cerca di sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica su terrificanti pratiche di sottomissione della donna .
DOBBIAMO CAMBIARE MODO DI PENSARE!!
ANCORA OGGI CERTE CONVINZIONI TRIBALI SUPERANO L’AZIONE DELLA LEGGE CHE CERCA DI PROIBIRLE.
Per 30 paesi, quasi tutti africani, è un rito di passaggio, simbolo di castità, per il resto del mondo è una barbarie che continua da secoli.
Nel mondo, secondo il nuovo rapporto Unicef , almeno 200 milioni di donne e bambine hanno subito mutilazioni genitali femminili. I paesi con maggior numero di casi sono la Somalia e il Sudan del Nord con una percentuale del 98%, seguiti dalla Sierra Leone e dal Gibuti (90%), dal Gambia e dalla Liberia (60%). Con la colonizzazione europea in alcuni paesi come l’Eritrea e l’Egitto la pratica dell’infibulazione è stata bandita e sono nati i primi movimenti per sostenere i diritti delle donne, ma in altri paesi questa tradizione è sopravvissuta.
E’ il dramma anche di molte donne immigrate. In Italia, si stima che nel 2009 erano 35mila le donne vittime di mutilazioni genitali. Stando a questi dati, non sempre attendibili considerata la clandestinità con cui viene eseguita questa pratica, il nostro paese è al quarto posto in Europa, dopo Gran Bretagna, Francia e Svezia. La legge italiana (n.7-01-2006) vieta l’infibulazione e prevede da 3 a 16 anni di reclusione, ma ogni anno sono 2000-3000 le bambine che vi vengono sottoposte con pratiche illegali.
Abbiamo intervistato una nostra compagna di classe la quale ci ha detto: “Io sono nata in Zambia, nel Sud dell’Africa che per fortuna è un paese principalmente cristiano, dove le mutilazioni sono considerate un peccato contro il proprio corpo, quindi, proibite ed anche i miei cugini di primo grado, che sono africani e a tutt’oggi vivono lì, non hanno subito l’infibulazione. Anche in Italia, dove abito ora, questa pratica è un reato. Sono contenta di essere arrivata a 14 anni e non aver subito ciò che hanno provato certe adolescenti, ma ancora di più di avere la libertà di scegliere che cosa fare con il mio corpo”.