Minacce di morte, intercettazioni, soprusi, intimidazioni ed esilio. L’iraniana Shirin Ebadi combatte la sua lotta per i diritti umani su un campo minato. E non è bastato il Premio Nobel per la Pace conferitole nel 2003 per metterla al riparo dalla persecuzione che racconta in Finché non saremo liberi.
Prima donna a diventare magistrato nel suo paese, dopo la Rivoluzione Islamica del 1979, la sua professione viene spazzata via. Lei si ribella alla retrocessione a segretaria del tribunale e si dedica alla difesa legale di donne vittime della Sharia, bambini, prigionieri politici, chiunque sia nel mirino del potere. Innesca così un micidiale ordigno: il controllo da parte del regime. Quando nel 2009 Ahmadinejad “ruba” la vittoria elettorale con l’avvallo della Guida Suprema, l’ayatollah Khamenei la repressione dei dissidenti è sfrenata: squadroni della morte, torture, omicidi. Nella lista nera spicca il suo nome. E Shirin non ha altra scelta che avviarsi all’esilio.
Valentina Trezzi e Sofia Magitteri 3B